Marco Peano / L’invenzione della madre
«Il corpo che la contiene sembra ogni giorno di più un guscio bellissimo che tende al vuoto: dentro di lei ci sono tunnel profondi in cui gli organi interni e il sangue e le ossa si consumano – un incendio segreto sta divampando in quella carne, un incendio doloso come quello di chi brucia alberi per ricavare terreno coltivabile».
L’invenzione della madre, esordio di Marco Peano con Minimum Fax di quest’anno, mi colpisce nel profondo perché arriva in un momento particolare: quello della personale presa di coscienza di una malattia con cui bisogna fare i conti, che costringe ad una lotta intransigente contro il male peggiore, quello che divora gli affetti. Se è vero che a seconda dello stato d’animo e del periodo storico con cui il lettore si butta sulle pagine di un romanzo egli può arrivare ad amare oppure odiare quel libro, allora mi sono trovata di fronte ad un piccolo capolavoro il cui compito è quello di gettare sotto la lente d’ingrandimento dell’empatia la sfacciata esposizione di un male, di una partenza, di un addio annunciato, di una lotta che parte già sconfitta. Non si può raccontare questo tipo di storia senza essere passati in prima persona sotto questa lente: Marco Peano, evidentemente, in qualche modo l’ha fatto. Ecco perché invita il lettore in quel paese «in cui ogni cosa è immobile», per chiedergli un’assistenza silenziosa, trovandosi egli stesso ad essere assistente, insieme al padre, di una madre malata di cancro che sta trascorrendo in casa gli ultimi giorni che le restano.
Il romanzo di Peano è un viaggio da vicino in questo cammino a volte lucido e altre volte giustamente sfocato, in cerca non solo di una voce che sappia urlare e raccontare quella malattia indicibile nelle sue evoluzioni più sgradevoli, ma un canto d’amore e di crescita, l’affermazione di un evento tragico che il suo protagonista cerca – senza mai strafare – di riporre nell’ordine naturale delle cose. Quando non ci riesce, sa farlo con innocenza: è questa la qualità che manca a molti (giovani) scrittori. L’invenzione della madre, alla quale deve necessariamente seguire quella di un figlio (che figlio non è già più) è un romanzo in cui finalmente la narrazione si mostra in tutta la sua urgenza ed evidenza; un racconto duro e allo stesso tempo un passaggio obbligato che compie un miracolo insolito: restare a lungo nella testa del lettore anche una volta che è terminato.
«Non c’è altro da fare se non provare quel che c’è da provare, e lo spazio per i sogni, per il dolore e per le lacrime – tutte queste cose arriveranno».
Consigliato a chi ha bisogno di sapere che può farcela.
Gaia Tarini
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