Mauro Tetti / A pietre rovesciate
E fra milioni di anni di questi ricordi, delle ore passate insieme, non resterà che il pensiero di una collezione di cocci rubata.
«Dopo dodici minuti di cammino andando verso nord si incontra il villaggio di Nur. E dodici minuti di cammino, cioè dodici secondi in una macchina davvero molto veloce, sono la distanza che ci separa dal mare.» Nonna Dora racconta storie meravigliose ai bambini che l’ascoltano incantati: la sua è una lingua antica che racconta di una mitologia lontana e sfavillante, a Giana e al suo innamorato, che non ne hanno mai abbastanza. In quel villaggio che ha memoria delle pietre preziose, luogo che esiste prima di tutto nel cuore e nella mente dei personaggi che lo popolano, c’è spazio sufficiente per tutta la terra, per la creazione di sangue e di sale, per le pietre rovesciate che segnano i confini – uno su tutti, quello imprescindibile della memoria. In queste crude e spaventose storie di cavalieri, streghe e principesse che non possono essere salvate dagli orchi, si mescolano passato e presente tra leggenda e verità; la narrazione resta sospesa come una favola eppure dura come una legge – quella che vige su un mondo ancora profondamente legato alle proprie radici intrise di storia. Bisogna saperla ascoltare per coglierne il significato metaforico, per abituarsi ad un universo dove convivono pozzi magici e tetti di eternit, draghi e donne che copulano con gli animali: è un mondo ibrido quello che s’incontra entrando dentro A pietre rovesciate, dove tutto può succedere semplicemente perché tutto è possibile e già accaduto sul serio, molto prima di chi c’è adesso. L’immagine riconoscibile ma tacita di una Sardegna arcaica e mitologica incontra la fotografia scarna del presente, lì dove per sopravvivere alla noia e alla durezza del tempo, bisogna saper coltivare la fantasia. Con A pietre rovesciate (tunué, 2016), che è il suo primo romanzo, Mauro Tetti crea una lingua magica che serve al suo racconto per farsi terribile ed eroico, per raccontare dei sentimenti rozzi e teneri degli uomini «in questa bubbola di parole, in questa storia breve di abusi».
Consigliato a chi non ha paura di imparare a catturare il vento e a chi sa chiudere gli occhi per credere ancora ai mondi lontanissimi che sono sempre quelli più vicini a noi.
Gaia Tarini
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