Da dove stai chiamando?
“Pronto. Ciao, sono Filippo. Sto chiamando da Firenze, Italia. Volevo dire che sto leggendo un libro meraviglioso. Strade blu di William Least Heat-Moon. Il libro lo conoscete tutti: io dico un’Odissea hippie da usare in tempi come questi che vivo: un libro da trasloco”. Dimmi da dove chiami e ti dirò chi sei. Casella vocale per registrare i tuoi pensieri: parlami, dimmi quello che pensi, lascia che sia il segno della tua voce a parlare per il libro, dei libri. Dopo le recensioni facciali della volta scorsa, predominio della teatralità gestuale, arrivano le recensioni telefoniche. Si compone un numero di telefono e si lascia il proprio messaggio. Nome dell’operazione: Call me Ishmael.
I vantaggi di lasciare una recensione al telefono sono indiscutibili: la distanza del cavo incoraggia la sincerità dell’opinione, eppure rimane la voce. Quanto di più personale e intimo abbiamo, perché la prima cosa che succede quando qualcuno ci fa una imitazione è replicare la nostra voce, il nostro timbro. È la prima cosa che ci chiedono in pegno quando vogliono rappresentare l’incanto dello specchio: noi e il nostro doppio. Appropriarsi del doppio, neanche dell’originale, solo del doppio: un bel tema moderno. Ma non divaghiamo.
Anzi, facciamolo: ricordo che avevo un amico che mi telefonava con una certa regolarità e mi teneva incollato alla cornetta per mezz’ore intere e allora compivo un reato criminoso che a ripensarci oggi dovrebbe essere punito dalla legge: appoggiavo la cornetta sul tavolo e continuavo negli affari miei, salvo interessarmi di volta in volta se il mio amico domandava della mia assenza o meno. A telefono, poi, al telefono di casa, ho chiamato qualche fidanzata nei tempi andati. E prima che un telefonino mi rendesse sempre reperibile c’erano dei momenti nei quali ero assente, non c’ero. I messaggi alla segreteria dicevano: “Siamo momentaneamente assenti”. Certo, per momenti e basta, ma pur sempre assenti.
Sparire per tornare. Andare per esserci. Rimpicciolirsi. Seguii una splendida serata guidata da un rabbino che parlava di un romanzo di George Perec: La scomparsa. Non sarebbe un male se avessimo ancora delle brevissime sacche d’anonimato e non ci fossimo per nessuno. Per un poco, ma per nessuno. Al telefono, inoltre, ho ricevuto terribili notizie. Non era un mezzo considerato freddo e distante; inopportuno. Se qualcuno aveva una informazione gravosa da darmi scegliere il telefono per colmare la distanza, come a mia nonna avrebbero scritto una lettera o un telegramma, sembrava adatto. Dignitoso.
Il telefono è questo: è voce, la nostra voce. Come in una fuga musicale le voci si rincorrono, cavalcano i cavi e il ronzio si diffonde. Una sinfonia di vociferazione avanza nel mondo. Il rumore umano batte la grancassa e si ripercuote e canta a voce alta, non s’arrende, afferma ancora una volta che esiste, che pulsa e non cessa. E tutto questo lo fa attraverso i libri, giacché “Chiamatemi Ismaele” non è tanto un’introduzione, quanto una richiesta, un’invocazione. Chiamatelo, vi prego, altrimenti non avremo più sue notizie dalla notte atlantica.
Filippo Polenchi