Dite: lo voglio
Gira una battutaccia: “La vita è bellissima. E poi ci si sposa”. Il matrimonio come tomba dell’amore, come innesco di quella bomba a orologeria che si chiama routine, ripetizione del quotidiano, dell’identico, fine delle novità, dell’avventura, della febbrile eccitazione che avvampa il sangue mentre il corpo si ricorda di essere vivo. Servono gli armamentari bohemienne (insospettabilmente), di una bohème d’oltreoceano, il bebop, i beatnik, servono matrimoni celebrati per assecondare l’ansia di totalità, di assoluto, di bruciante passione, sposarsi in fretta&furia, fast&furious, in una chiesetta o al comune per essere più veloci del tempo, dell’usura, della morte e volersi dichiarare così, su due piedi, con la frenesia della fuga disperatamente romantica che sì, ci amiamo e sì, quest’amore corre più forte dei suoi inseguitori, ecco, serve tutto questo per ribaltare l’immagine logorata e tipica del matrimonio.
Che poi è un’immaginario piccolo-borghese, ovvero: il male in terra. Il matrimonio come nido dei tradimenti, delle piccole evasioni, meglio se taciute. Non c’è alcun coraggio di vivere, di scegliere, di – non dico dominare, ma cristo, almeno non soccombere – non essere soltanto zombi, esseri passivi. E a proposito di zombi: mentre scrivo apprendo che è morto George A. Romero, il regista dei morti viventi. Pace all’anima sua, ma lui sì che era stato uno capace di cogliere il marcio piccolo-borghese delle nostre esistenze rinchiuse nelle prigioni dei centri commerciali. Che poi, come dimostra questo simpatico post, non tutto va sempre per il verso giusto.
Alcuni fra i matrimoni più terribili della letteratura: da Jane Eyre a Espiazione, da mariti che tengono nascoste prime (folli) mogli a quasi-matrimoni rovinati (insieme a tutto quello che circonda la vita di una persona) per uno scherzo. Da accoltellamenti stradali (Marquez) a oscuri spettri incestuosi. Lo sappiamo, il mondo non va sempre per il verso giusto. Innumerevoli sono le variabili che indirizzano gli eventi: fattori ambientali, sociali, temporali, forze esistenziali, persino correnti cosmiche. Eppure dev’esserci il modo di sfuggire alle trappole della piccola borghesia, di quello stato mentale ancor prima che censitario, di quell’ur-piccoloborghesismo che incombe come uno spettro sulle nostre nuche indifese. Fantasma che reclama, quello sì, la ripetizione di un copione prevedibile, stortura del potere, deviazione del controllo, aborto di biopolitica. Sposiamoci, facciamo figli, facciamo errori, usurpiamo il trono della morte, ma santamiseria, mandiamo definitivamente a quel paese il sudicio, marcio, inerte, schifosamente bieco diktat del Potere: la maledizione piccoloborghese. E allora dite: lo voglio.
Filippo Polenchi