Faccia a faccia
Feticismo delle merci. Usare il volto del proprio idolo per allietare la propria giornata/esistenza. Acciuffare il feticcio del suo volto, acchiapparlo dal suo mondo di luna per tirarlo giù nella prosa di tutti i giorni; convincerne l’effigie ad abitare una targhetta metallica da frigorifero o un segnalibro, meglio se utilizzato per tenere il segno a un libro di quello stesso autore. Chi carica di sacralità l’icona di una figura pubblica un volto celebre? Meglio dire: quali icone sono disponibili oggi per il pantheon delle figurine?
È abbastanza inusuale che sia uno scrittore l’oggetto d’idolatria, anche se quest’umano mondo è il regno del bizzarro e dell’errore e nella macchina cannibale dei nostri destini non si risparmia la vita a nessuno, foss’anche un innocente scrittore. Anzi, a volerla dire tutta lo scrittore è rimasta l’ultima specie di foca artica o di pappagallino tropicale al mondo; in via d’estinzione sul banco della moda, dopo gli attori e gli scienziati e i pensatori e i grandi nomi della filosofia adesso tocca agli scrittori, ai fabbri della lingua, questa specie di falegnami pazzi, a essere divorati dalla stampa a caldo.
Insomma, non è tanto strano che ci siano i segnalibri di Milan Kundera per i libri di Milan Kundera, ma il fatto che sia proprio lo scrittore a essere rimasta l’ultima specie ora pronta al sacrificio dell’esposizione e della condivisione. Lo scrittore ha salvaguardato finora la propria immagine, il proprio lume fisiognomico, forse perché il viso di uno scrittore è la sola cosa che non conta nella sua vita, perché spesso se ne fa a meno o, tutto sommato, si tollera come una eccentricità da curriculum l’assenza immaginale del viso di Pynchon dai rotocalchi del mondo.
Dipende dalla voce. Lo scrittore usa la voce, nient’altro. È dalle vibrazioni delle sue corde vocali impastate di segni grafici che escono fuori le sue storie e questo è più che sufficiente. Nient’altro serve perché sia riconosciuto, perché un rilevamento d’impronte digitali non lo inchiodi al banco degli imputati. Privo di voce lo scrittore rimane nulla, ma privarsi di volto non ha avuto altro che benefici: per ora l’ha allontanato dalle decalcomanie stampate sulle tazze da caffè, ma la storia domanda la riscossione del debito.
Filippo Polenchi