Il passo più lungo
In via del tutto eccezionale, proprio dove abita lo strappo alla regola, debutta oggi (al posto della Colonna dell’invidia, che da giovedì prossimo rifarà capolino) sul sito di Barta una nuova rubrica: Ex cit. L’idea è -copincolla dalla definizione leggibile sul sito- «prendere un pezzo di libro e leggerci un segnavia, come le canzoni fatte a pezzi nei versi che cantiamo sempre». Al leggio, Simona Mantovanini, «giornalista e tuttora invischiata nel dark post punk», dice. Il fotogramma soprastante è tratto da Orizzonti di gloria, quello sottostante da 2001 odissea nello spazio – altri segnavia. E si va.
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Il passo più lungo del viaggio è quello per uscire di casa.
da L’inattesa piega degli eventi di Enrico Brizzi.
E’ sempre il primo il più difficile. Il primo passo di qualunque cosa, per allontanarsi dall’abisso del disutile.
Si dovrebbe guardare oltre, cercare l’obiettivo vicino o possibile; il primo, appunto.
Poi inizia la rincorsa. Le idee si accavallano e torna l’aria di primavera anche se fa un freddo cane. Mi vesto esco, occhieggio e scruto. Torna la voglia di scrivere qualcosa che valga la pena mostrare a occhi che vuoi attenti. Torna il pensiero d’onnipotenza che stampa le idee al muro della responsabilità.
Trovati un lavoro! L’idraulico! Fai il bancario! Vinci il Nobel! Vinci al lotto! E di nuovo l’inutilità si aggrappa al muro per tentare lo scavallo e riportarti nell’ozio dell’oblio.
Non stavolta. Stavolta ho comprato la tuta e faccio stretching tutte le volte che posso, tengo la schiena dritta mentre digito, anche quando sono in piedi. Mi sono ripresa il tempo per leggere; per questa e poche altre passioni può bastare anche solo una volta al mese, per ricaderci è andata benissimo e adesso voglio sempre di più. Voglio leggere e assorbire qualità.
Sfioro la cresta dell’abisso della disperazione, lo vedo è lì. Per ora non ci gioco nemmeno.
Il primo pezzo di rovere messo nella morsa del falegname ha già la notizia del mobile. L’ultima stringa di codice è l’orizzonte della mia composizione per la coperta di Torvalds. La città che dorme è solo un’eco sbagliata della stanchezza a strati che mi dice di non montare sul furgoncino.
Il tuo particolare è il mio universale. Parlami di te, e tu sono io.
Torno a me.
Il primo paragrafo, il primo concetto di un discorso importante. Diventa difficile organizzarsi tutta la giornata quando hai in testa un confuso obiettivo raggiungibile solo mediante complicate involuzioni mentali. Lo spazio mentale che occupa questa attività, sportiva al pari degli scacchi, è enorme. E’ provato che in queste condizioni è dannoso compiere altre azioni contemporaneamente, tipo guidare e telefonare. Anche con cuffie e vivavoce, dovrebbe essere vietato andare in giro anche a piedi con la testa così impegnata. Devi produrre, devi trovare quei soldi, devi avere quel lavoro, quel posto, quella casa, quella vita, quella droga, quella svolta; devi salvare il mondo, devi.
Un primo passo alla volta, se serve.
Simona Mantovanini