In cerca di un nuovo esperanto
Leggete questa storia, un bell’articolo sul Codex Seraphinianus, astronave che giunge direttamente dal cosmo degli anni Settanta – folli, vitali, anarchici, lisergici e ancora folli – per volere di Luigi Serafini, architetto trentenne che nel 1976 scrive la sua enciclopedia. L’avvio dell’operazione sono i disegni: metamorfici, ovidiani, singolari, ironici e iconoclastici. A questi, che compongono un’ideale (e invisibile) enciclopedia di un sapere non ancora decifrato in nessun alfabeto umano, ecco che sono accostate le scritture in una lingua anch’essa inventata e incomprensibile.
Come giustamente dice l’articolo questa lingua, essendo enigmatica per tutti, è una sorta di esperanto: tutti possono ‘vederla’, anche se è inintellegibile. Come quando i bimbi iniziano a sfogliare i libri con l’intento di ‘leggerli’: per stessa ammissione dell’autore è così. Avanguardia estrema, allora: tentativo di avvicinare la letteratura alla musica o all’arte, liberandola dall’antico vincolo di dover essere, appunto, letta. Avvicinamento alla Marshall McLuhan verso un villaggio globale di segni tribali e pitture rupestri. Ecco, il Codex somiglia allora a una pittura rupestre, al ritrovamento di una traccia sul cielo curvo di una grotta.
Secondo Italo Calvino, che scrisse una prefazione a quest’opera, c’era un discorso di palingenesi e risorgente attività alfabetica dietro al procedimento quasi alchemico. Una sorta di nigredo, albedo e rubedo sulla via di una trasmutazione dall’ottusa materia all’oro. Dall’incomprensibilità alla parola. Ma quale che sia il percorso della parola rifulge dorato il segno mutaforme di Serafini.
Filippo Polenchi