La civiltà dei capelli
Da un paio d’anni, in questa cittadina dell’Iowa – in mezzo al caldo umido dell’estate, in questa terra primordiale, di naturale radioattività, pianeggiante e glaciale – si celebra il Back to School Bash, una festa cittadina per salutare l’imminente ripresa delle attività scolastiche, ma soprattutto una festa promossa dall’instancabile etica del lavoro docente, dedita all’avvicinamento di due soggetti fatti apposta per stare distanti, anche se è indispensabile che stiano vicini: gli alunni e le materie scolastiche. I maestri certe cose le sanno e talvolta possono contare sull’ausilio di preziosi aiutanti.
C’è questo barbiere a Dubunque, la città in questione, che è anche un genitore e che offre tagli gratis ai bambini, a patto che quest’ultimi gli leggano ad alta voce una storia mentre lui, Courtney Homes, effettua la rasatura. I bambini sono accorsi a frotte: hanno letto le storie dai loro libri a voce alta, vincendo così uno degli spettri più spaventosi che veglia malevolo sulla loro disinvoltura: la timidezza – fino ad arrivare all’incapacità – di leggere a voce alta davanti a un pubblico. Il che, per un paese di oratori, è un dramma sociale. Insomma, la paura dell’esibizione fallimentare si combatte con il ritorno all’oralità? Non so, secondo me c’è altro sotto.
Anzitutto il taglio dei capelli. È una pratica “obbligatoria” per qualunque bambino. Le mamme accorrono dai barbieri per far tagliare i capelli dei loro figli e non tanto per ragioni estetiche, quanto sanitarie. Con i capelli corti non si prendono i pidocchi, ad esempio, puro vampirismo invisibile e brulicante, vivo, pulsante, moltiplicatorio. Un vero incubo irresistibile. Soltanto in seconda battuta il taglio dei capelli è svolto per questioni morali, per così dire, perché non è accordato con la sensibilità diffusa un bimbo con i capelli lunghi. Altre età verranno perché la prima forma di ribellione alla catena borghese siano i capelli lunghi oppure la rasatura, a seconda del lato dello specchio che si vuol abitare. Del resto i guerrieri antichi si tagliavano i capelli per non offrire appigli ai nemici durante le battaglie. I guerrieri serbi, invece, li tenevano lunghi, come prolungamenti di velli lupeschi, per spaventare ancor più il nemico. E gli sciamani hanno folte chiome perché sono irraggiamenti spirituali, sensibili strumenti rabdomantici per captare le energie dell’invisibile. È indiscutibile che, sia lunghi che corti, ai capelli si attribuisce un carattere di civiltà.
Homes è un bravo cittadino, un bravo lavoratore e scommetto anche un bravo padre. Ma è anche un bravo terapista. I bimbi leggono in pubblico perché sono distratti dalle forbici che gli sfoltiscono le capigliature. Fossero realmente concentrati, attenti alla situazione, al contesto, a quello che stanno dicendo, a quello che leggeranno; avessero davanti a sé la prospettiva di incontrare presto quella parola che non sanno leggere con scioltezza non ce la farebbero. Solo i più esperti arriverebbero in fondo. Invece Homes taglia e i bimbi indirizzano la loro concentrazione su quello che accade sopra la loro testa e così leggono bene. Dovremmo avere tutti noi un barbiere che ci segue e ci taglia i capelli nei momenti più tesi della nostra vita, quando siamo chiamati a fare la performance definitiva.
Il fatto è in certo modo paradossale. La civiltà, la stessa che incoraggia la rasatura dei capelli, va di pari passo con un fraintendimento evolutivo. Dall’uomo primitivo a oggi, infatti, l’impulso a reagire a pericoli naturali è rimasto inalterato. Ad essere cambiati sono i pericoli, però. Percepiamo ancora l’allarme che ci raccomanda di fuggire o di combattere, ma non ci sono più tigri dai denti a sciabola pronte a balzarci addosso. I pericoli di adesso sono concettuali, perlopiù, complessi e stratificati. A ogni emergenza siamo interpellati a discernere su mille variabili che influenzano lo stimolo di pericolo. Eppure il corpo se ne frega e reagisce da perfetta macchina sapiens: scappa o combatte. E senza tigri la frustrazione dell’impulso si trasforma in ansia, in panico, in nevrosi.
Igiene e paranoia viaggiano su binari paralleli e convergenti. E poi viene questo barbiere, questo padre di famiglia. Un brav’uomo. Ci scommetto. Uno che fa il suo mestiere senza pensarci troppo su, senza velleità intossicanti. Desiderando cose semplici, concrete. Un buon voto a scuola per suo figlio, per dirne una. Aiutare la comunità alla quale appartiene, per dirne un’altra. Courtney Homes fa quello che fanno i terapisti di oggi: distrae a fin di bene. La lettura, allora, è la soluzione, la strada da seguire per restare civili e distrarsi. Distrarsi per riprendere contatto col mondo. Dev’essere questa la strada. Si parte dall’Iowa.
Filippo Polenchi