Leggo libri di terra, per terra
Leggo i libri di terra; leggo la terra, la terra è una lavagna di segni, di semi. Si scrive nella terra, con la terra e sulla terra. Si scrivono i segni della polisemia, polisemantici, fatti di molti semi. Si seminano parole, si arano i campi come si tracciano segni che poi sono disegni sulla pagina. In Argentina una casa editrice di libri per bambini ha costruito questi volumi prodotti solo con materiali biodegradabili e dentro ci sono semi di jacaranda. Quando il bambino ha finito la lettura può piantare il libro, cioè, letteralmente può seppellirlo, e da lì nascerà una pianta di jacaranda.
Ci sono altre scuole, nel mondo, dove si imparano valori fondamentali, che solo nella loro fase proiettiva hanno a che fare con il civismo, con il rispetto della natura, con l’ecologismo e con la sensazione di essere a un bivio epocale, finanche cosmico, nel quale sarà necessario ascoltare il pianeta e le sue ragioni prima che sia troppo tardi. Molto prima di questi discorsi che sono culturali e dunque da adulti c’è una fase di educazione dei ragazzi che passa per un rapporto privilegiato con la terra. Non solo fumisteria, ma mani infilate nella terra, nel terriccio morbido e brunito, nell’humus molliccio e vermicitante. Prima scuola: la terra.
E ancora il lancio pubblicitario del video promozionale dice: I libri sono fatti di terra, che è un altro modo per rinverdire i fasti biblici del Cenere alla cenere, polvere alla polvere. Eppure. Eppur. La smania, l’apatia, la paralisi, l’anestesia del tempo inducono a una reazione, quella cioè di non assumere come olio cattivo la sentenza del “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Un pessimismo oscuro, dogmatico, ortodosso, cupo e sicuro di sé, del suo essere pessimista. D’altra parte, però, anche avere un così solido pessimismo è una sicurezza novecentesca che non abitiamo più. Le nostre strade sono incerte, dense di pulviscolo e particelle di possibilità. Siamo disponibili a ficcare le mani nella terra, a riconoscere che quel disgustoso lombrico che ci scivola come poltiglia di serpente tra le mani è pur sempre vita. E così sia.
Filippo Polenchi