Libri mannari: cresce sottopelle il pelo ispido e predatore della febbre di licantropia. Ci si trasmuta nelle notti folli per strapparsi di dosso le vesti, i veli, di più: la carne. Carne mannara fuori dalla propria carne, divenire animali, transitare verso il disumano, il vuoto, l’assurdo, il fuori-da-noi. I licantropi sono corpi in fuga, in migrazione dalle proprie cellule epidermiche, inconscio che fuoriesce, che scoppia fuori dalle vene.
Libri mannari. Tutti ne scrivono, ne vorrebbero scrivere. Libri feroci, ma anzitutto libri che non si trattengono, che vivono nell’interstizio breve della propria passione oltre a se stessi. Così questi due editori sui generis islandesi hanno interpretato la loro missione imprenditoriale. Siamo in Islanda, nella terra del ghiaccio e del fuoco. Dai bocchettoni terrestri, dalla caldaia delle viscere planetarie emergono idee come geyser, lampi di visioni come aurore boreali. Così la casa editrice Tunglið stampa libri soltanto nelle notti di luna piena. In sessantanove esemplari. E c’è soltanto un momento per comprarli: nelle suddette notti.
Cosa accade dopo? I libri vengono bruciati. Ma i lupi mannari non si uccidevano con proiettili d’argento? Pazienza, stregoneria ed esorcismo estetico, rituale apotropaico e un po’ naif, primitivo, ma senza implicazioni politiche – così dicono i due editori – semplicemente per dare valore all’occasione irripetibile, alla unicità del libro, del gesto, della sua rivelazione al mondo. Il libro, così, è ‘maledetto’ dalla stessa fiamma che brucia l’uomo lupo, ma come la creatura abbaialuna anche questi libri sono destinati a ritornare umani dopo la metamorfosi bestiale. Che forse è proprio questo il crocifisso che si portano addosso: il danno di tornare normali dopo il dolcissimo trauma della bestia.
Filippo Polenchi