Formula ciceroniana: “O tempora o mores”. Ormai da un pezzo la sfumatura moralistica dell’espressione ha perso di significato. E quando la morale sbiadisce c’è spazio solo per il riso, l’ironia, l’umoresca. Mi si permetta una piccola espansione di gioia – sì, ho detto bene “espansione” al posto del più evocato scoppio – perché non è da tutti ricevere uno scritto sul paginone centrale della Cultura de “la Repubblica”, a firma Andrea Camilleri. È successo oggi, domenica 9 novembre 2014. Nell’articolo il gran siciliano parla degli inediti di Cechov, Umoresche, che da queste parti pubblicheremo a metà novembre. Tremori dappertutto, bellezza diffusa.
L’umorismo di Cechov, che Camilleri estrapola da aneddoti teatrali, in un gioco di specchi tra se stesso e Stanislavskij, con un’arte affabulatoria superba, è spesso aforistico, quasi all’inglese verrebbe da dire. Un umorismo che spesse volte si affida al twist, al colpo a effetto, al capovolgimento, al fuoco d’artificio sinestetico che ribalta la percezione comune in un letto di paglia da morir da ridere. Ma il capovolgimento, talvolta, può essere meno immediatamente esilarante e più amaramente serpeggiante. Esso può giungere come uno sfondamento straniante, un accostamento imprevedibile e ridicolo, un disturbante happening zen. Vedi Andy Kaufman per credere e chi non lo conosce basti che si guardi i suoi filmati su Youtube e capirà cosa intendo. Ecco, l’umorismo cechoviano di queste pratiche ancora inedite in Italia, è talvolta di così. Un dettaglio rovesciante e tutto muta, tutto è risibile. E allora, dove non c’è un’autorità, un timore e una devozione, non c’è altro da fare che ridere.
Se non ci fosse la Libreria Immaginaria penso che non dormirei. È da quelle parti che vado a trovare conforto e anche oggi il mio conforto e il mio riso si son spesi per un blog che questa magnifica stazione di scambio per informati lettori ha cucito nei suoi spazi. Celebri romanzi della storia con copertine modernissime. Gli esiti potete vederli da soli.
L’umorismo qui nasce da un rispecchiamento moderno in un simulacro del passato. La storia venerata è dileggiata, con amore e affetto, ma pur sempre dileggiata. E noi tutti ridiamo a più non posso nel vedere il Dorian Gray, davvero contemporaneo o Moby Dick. Sono colpi di genio: congiungono due ponti logici superando l’ostacolo invisibile che successivamente è ripensato come un velo di Maya, ma che finora era rimasto invalicabile.
Aveva ragione Benjamin, quando scriveva L’Opera d’arte al tempo della sua riproducibilità tecnica (1936): al tempo della repentina fabbricazione di manufatti artistici, vedi un libro, che non ha più il bisogno di uno scriba attento e instancabile, ma può essere trasmesso e ritrasmesso con poca fatica e perlopiù meccanica, un’opera d’arte perde la sua aurea irripetibile che la rendeva sacra. E il Benjamin ipotetico, quello che non si è ucciso a Port Bou, ma che ha attraversato le campagne del tempo per arrivare al 2014, rafforza il suo concetto, giacché adesso anche quella soglia tecnica che il Benjamin del ’36 vedeva nei libri intorno a sé è stata bellamente superata. Il libro, l’arte viaggiano alla velocità del pensiero. Esemplare il Fahrenheit 451. Immortali capolavori dell’umanità non spaventano più: guardate come sono riprodotti la Divina Commedia o Guerra e pace.
“O tempora o mores”. Del resto più di una sparata moralistica è bello pensare semplicemente all’umorismo: la ventata d’irrazionale che s’incendia gratuitamente nel mezzo di una situazione che scorre omogenea. Una frattura trascendente s’apre nella compattezza quotidiana ed è in questa faglia brillante e fuggitiva che intravedo la dolcissima e straziante risata dell’Esistente. Per questo viviamo (sia detto in senso di finalità): per ficcare l’occhio nelle incrinature della rassegnata strada che scorre lineare e dritta fino alla fine.
Filippo Polenchi