Racconti di Bacco
Il vino, com’è bello il vino, rosso rosso bianco bianco è il mattino. Piero Ciampi. Lo canti una notte intera intorno a un tavolo che subito la tavolata diventa disperata, gli abiti iniziano a puzzare di fradicio, di quel mesto odore di fanghiglia e rapsodia della vita che fugge. Lo cantano ruggendo, ma seppure tutto scappa dalle mani con la scivolosa rapidità del bicchiere, di un altro bicchiere, e seppure le albe siano atroci risvegli dentro il fosso, il vino però, comunque si fa cantare.
Ma poi sotto la quota di ebbrezze fatali, di ciucche fulminanti e dionisiache, autodistruttive e senza esito c’è il racconto del vino. Quest’azienda di vini, in combutta con quest’altra agenzia di comunicazione, ha capito che il vino non è solo sbronza collettiva o solitaria. Il vino è convivialità, lo sappiamo, ce lo ripetono da anni, da quando il vino è diventato un rapporto di marketing e una voce nel catalogo dei consumi più consumati dal consumatore. Però è tutto vero. Il vino è racconto.
Ecco perché si leggono tre racconti sulle etichette di altrettanti vini. Ciascun racconto dedicato al vino che meglio ne rappresenta le proprietà. E viceversa. Il vino come inchiostro speciale, come prima goccia che trabocca sulla pagina. C’è un rapporto diretto fra la fluidità dei liquidi per scrittura e quelli per banchetto, che poi alimentano il racconto. Vino e parola come fratelli della stessa madre, magari anche separati alla nascita, ma opportunamente messi al corrente l’uno dell’esistenza dell’altro. Così come non ci si libera da quest’angoscia delle parole così non ci si libera da questa smania dell’uva. Perché poi, si sa, dentro il racconto ci si può perdere, ci si può davvero risvegliare dopo una obliata notte di atti impuri.
Filippo Polenchi
(fonte immagine: qui)