
Rapsodia in blu | Andrea Serio (Oblomov Edizioni, 2019)
È il 12 febbraio del 1924 quando all’Aolian Hall di New York viene eseguito per la prima volta Rhapsody in blue, celebre brano di George Gershwin che avrebbe fatto la sua parte nella grande storia del jazz. Il suo autore l’avrebbe definita una «multicroma fantasia, un caleidoscopio musicale dell’America, col nostro miscuglio di razze, il nostro incomparabile brio nazionale, i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana»; e non sembra un caso che la fantasia cromatica evocata da Gershwin torni in questa graphic novel di Andrea Serio che riprende proprio il titolo della canzone. Pubblicata da Oblomov Edizioni nel 2019 e ispirata al romanzo Ci sarebbe bastato di Silvia Cuttin, Rapsodia in blu è una storia di guerra, d’amicizia, d’amore ma soprattutto di speranza e separazione ambientata durante gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale.
Muovendosi su piani temporali sfalsati, Rapsodia in blu disegna una mappa che si snoda tra scenari e momenti diversi: l’estate croata del 1938 in tutta la sua azzurra bellezza (che tornerà a chiudere il libro dotandolo di una struttura circolare), l’inverno del ’44 sulle gelide acque dell’oceano atlantico; la seducente benché algida New York dell’anno 1942, l’appennino tosco-emiliano teatro delle ultime giornate di guerriglia prima della caduta del fascismo. E sarà proprio il fascismo – e in particolare l’emanazione delle leggi raziali – a interrompere l’ultima estate dei cugini Goldstein, Andrea, Cati e Martino, ebrei risiedenti a Fiume. Per sventare le deportazioni che di lì a poco colpiranno la comunità ebraica, la famiglia ottiene un visto per l’America dove risiede una zia, presso la quale i ragazzi potranno imparare un mestiere.
A New York, però, ad Andrea non bastano il buon lavoro come tecnico di laboratorio né l’amore della bella viennese Joan, e ben presto deciderà di arruolarsi, come tanti giovanissimi della sua generazione. La Rapsodia tratteggia il suo umore malinconico e irrequieto, sino alla decisione di entrare nell’esercito, rompere il fidanzamento e inseguire un ideale di liberazione che lo porterà a morire a soli ventidue anni, il 4 marzo del ’45. Il brano di Gershwin, simbolo di un’epoca e di una cultura in contrastante fermento rispetto al contesto storico di quegli anni, esiste come unico momento musicale in un alternarsi di piani e ambientazioni differenti spesso racchiusi in un impalpabile silenzio: la natura incontaminata delle spiagge croate in opposizione alle montagne calcate dai giovani dell’esercito americano, la folla in tumulto durante il discorso di Mussolini, i parchi cittadini, le case, le laconiche piste da pattinaggio della Grande Mela, le solitarie trincee.
Andrea Serio illustra un paradiso perduto percorso da un tangibile senso di sconfitta che è prossimo, fotografato nel momento del suo accadere; quella «meraviglia e gratitudine» che si rintraccia anche a discapito di un senso di malinconia persistente, che accompagna tanto l’umore generale del libro quanto il suo finale. Ma pur sviluppandosi intorno a una storia comune – di guerra, di resistenza, di imprevedibile entusiasmo per un ideale che verrà tradito – riesce a esercitare una forma di levità, di leggerezza; a rievocare quel sentimento di accettazione che nasce da un modo di vivere e leggere la vita. Questo modo, che nella realizzazione grafica attinge a grandi suggestioni visive come i dipinti di Edward Hopper e il Lorenzo Mattotti di Sconfini, è esaltato da una mano che attraverso un incredibile utilizzo della matita colorata si esprime in tutto il suo potere contraddittorio, mettendo in contrasto le tematiche di discriminazione, razzismo, separazione e malinconia e una forma di resistenza che passa dal colore e che esalta l’immagine, il disegno, il trionfo pittorico che non resta mai banale scenario ma che diventa progressivamente autentico personaggio.
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