Sanatorio
Nella malattia c’è una sensazione di dispersione e sveglia all’alba anti-rigenerativa; un intorpidimento affatto catartico che lascia socchiudere gli occhi al momento del caffè mattutino e segna una separazione infinita fra te e il mondo. La malattia è scissione, dal tuo passato e dal presente degli altri e anche, sempre, dal futuro. È bello sorridere delle malattie, quand’è possibile, perché è reale esorcismo dalla messa in mora del tuo destino.
Non c’è niente di meglio, per chi è soprattutto un lettore, che riconoscersi in questa lista esilarante di malattie letterarie, che comprendono cose tipo Il morbo di DFW (leggi David Foster Wallace): “Perniciosa tendenza dell’intellettuale stremato a trovare più interessanti le note del testo” o anche la Franzenite, ovvero: “Disturbo della percezione che spinge a rigettare ogni forma di modernità in quanto ipoteticamente nociva per la scrittura” e perfino l’Orecchio, naturalmente “piaga della pagina”. Il senso di tanto divertimento ecumenico, di tanto senso catartico di scioglimento, deriva proprio dalla sua empatia nella malattia. Mi spiego meglio, nel prossimo paragrafo. Per ora ecco un’immagine di Franzenite.

Writer Jonathan Franzen, of the US, arrives for the Time 100 gala celebrating the magazine’s list of 100 most influential people in New York, New York, USA, on 26 April 2011. EPA/JUSTIN LANE
È una comunanza tra lettori e scrittori e soprattutto tra lettori. Vivere in queste innocue malattie e sapersi riconoscere in esse dà la percezione di sentirsi meno soli e dunque, in nuce, di mettere insieme la batteria di anticorpi per creare un vaccino. La comunità di lettori si sente accomunata da un grappolo di sintomi e diagnosi, ma paradossalmente rifiuta la cura: lasciateci qui, in questo sanatorio, fuori/dentro il mondo contemporaneamente. Le nostre pastiglie sono altre agenti patogeni. In questa montagna incantata, tuttavia, nel beato andirivieni di visite di cortesia, si celebra la vita. A modo nostro.
Filippo Polenchi