Sessant’anni nel futuro
Come definirla? Contro-satira, contro-distopia (ma non per questo utopia), contro-ironia oppure estrema ironia della sorte. Fahrenheit 451 era stata un’intuizione geniale per un racconto di fantascienza ma che lavorava su tali livelli da sfondare le gabbie del genere e diventare racconto morale, distopico, filosofico, una specie di temutissima profezia; ma all’interno del suo sistema sanguigno il romanzo di Bradbury conteneva i germi di una speranza, filtrati attraverso la controcultura (i freakkettoni uomini-libro). Erano gli anni Cinquanta. Prendi una storia filosofica e trattala da fantascienza. Cosa accadrebbe se i pompieri del futuro bruciassero i libri anziché spegnere roghi? Meraviglie del possibile era il titolo di una vecchia antologia di storie fantascientifiche dell’Einaudi. Cosa accadrebbe se i nazisti avessero vinto la guerra? (La svastica sul sole di Philip K. Dick). E così via.
Questo collettivo di artisti, però, ha immaginato una specie di buco spazio-temporale che dalle profondità del romanzo di Bradbury giunge a noi con un manufatto arrostito, nero di fuliggine, illeggibile, già censurato. In questo caso il trattamento della fiamma non è quello anti-censorio, anti-proibizionista del romanzo originale: stavolta il fuoco è mistico, è purificazione. Ma è anche un aggiornamento dell’inchiostro simpatico – lo ricordate? In questo caso Fahrenheit 451 appare come un romanzo dalle pagine completamente nere. Soltanto se scaldato col fuoco il nero si dissolve e dalle pagine ermetiche compaiono le parole, tornano i significati, riemerge il nascosto. Un esperimento, certo, e forse un tentativo di vincere la guerra della decrittazione, dei messaggi enigmatici, delle vie di fuga da un controllo eccessivo algoritmico. Materia da altri scrittori da fantascienza, senz’altro. Laddove nel 1953 si temeva un oscuramento nel 2017 siamo già in quella fase dove è necessario liberarsi dall’oscurità.