Un mondo pieno di grazie
In quel piano inclinato che appartiene alla nostra memoria, nel suo processo di sgretolamento, anzi: nel suo processo di deroga a dispositivi esterni, verso una coincidenza tra mente umana e RAM, laddove l’orizzonte è quello che renderà necessario l’uso di hard disk esterni per la nostra memoria, in questa grande avventura verso le spiagge dell’oblio Shazam ha avuto un ruolo fondamentale. Shazam: quella applicazione per telefoni 2.0 (che chiamarli smartphone è davvero troppo!) grazie alla quale tu senti una canzone in radio, avvicini il telefono alla cassa e la app ti dice di quale canzone si sta parlando. Addio memoria.
E adesso si sono inventati lo Shazam tipografico: una lenta speciale collegata in Bluetooth che riconosce i font con i quali sono scritti i documenti testuali che le si sottopongono. D’accordo direte: un altro passo verso la smemorializzazione delle nostre esistenze. Be’, questo è vero solo in parte, giacché ricordarsi di una canzone fa parte di quegli esercizi largamente condivisi per dirsi dotati di buona memoria. Diverso è il caso dei font, che nessuno – ammesso che non sia un tipografo o un grafico editoriale – conosce davvero. Come sono divisi? A quali famiglie appartiene il famosissimo Times New Roman o il Garamond Simoncini? Chi li ha inventati e qual è la loro tassonomia.
Questo particolare Shazam libresco, lungi da polverizzare la nostra RAM mentale, apre una finestra su un mondo perlopiù sconosciuto e che, invece, merita di essere scoperto. La scrittura tipografica è un’espressione della nostra vita formale, nel senso che essa dà una forma ai nostri pensieri, una forma grafica, un segno visivo; dà una specie di impronta digitale permanente, come un connotato, ai nostri pensieri. E poi siamo sinceri: un mondo dove le scritture si distinguono anche perché hanno le “grazie” o meno non può che essere un mondo pieno di cose belle.
Filippo Polenchi