Un’infusione di storie
Nella notizia di racconti abbinati alle infusioni di tè, in maniera simbiotica quasi, per cui una specie di cordone ombelicale lega il testo all’infuso – vari gusti, oggettistica da merchandising, miscele ad hoc – è inevitabile che ci sia un aspetto negativo. Il bisogno cioè di adattare la lettura ai cinque minuti dell’infusione, legare i lettori a un tempo che comunque sarebbe vuoto e riempito dall’incerto scrutare nella rete, per non lasciarli scappare e anzi legarli letteralmente alla pratica del tè. Tutto questo ha un sottofondo triste, perché non c’entrano nostalgie reazionarie per un passato che non tornerà più (e chi lo voleva?) ma perché è assai triste doversi inventare un escamotage del genere per far leggere le persone. Voglio dire: dovrebbe bastare un libro.
C’è però inevitabilmente anche un certo fascino nelle vie che trovano le storie per non morire. Sopravvivono in tempi bellici, come tutti i coraggiosi o semplicemente chi non ha altra scelta. Le storie si muovono camaleontiche perché l’alternativa non sarebbe percorribile. Si tuffano – letteralmente – in ambienti che fino a poco tempo prima sarebbero stati impensabili per loro; non temono il giudizio, né è mai troppo feroce la propria autocritica. Hanno la dignità di chi rimane in vita affermando la necessità della propria permanenza qui e ora.